Ho una madre netturbina — Per dodici anni i miei compagni mi hanno evitata, finché il giorno del diploma una mia sola frase fece piangere tutta la scuola

Per dodici anni di scuola, il soprannome “figlia della spazzina” fu per Lira, una ragazza di Tondo, Manila, una cicatrice impossibile da cancellare. Era cresciuta senza padre.

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Suo padre morì prima che lei nascesse; la lasciò a una madre minuta, con i calli alle mani e l’odore di sudore e polvere: Aling Nena, una donna che raccoglieva rifiuti lungo i binari del treno e nelle discariche della città per tirare avanti con sua figlia.

Il primo giorno di prima elementare, Lira portava un vecchio zaino cucito da sua madre. La sua divisa era scolorita e aveva toppe sulle ginocchia, e le scarpe, di plastica, erano screpolate dall’uso.

Appena entrò in classe, tra alcuni compagni iniziarono mormorii e risatine:

«Non è la figlia della spazzina?»

«Puzza di discarica.»

All’intervallo, mentre gli altri mangiavano panini e spaghetti, Lira sedeva in silenzio sotto l’acacia, rosicchiando lentamente un pezzo di pane senza ripieno.

Una volta, una compagna la spinse e il pane le cadde a terra.

Ma invece di arrabbiarsi, Lira lo raccolse, lo pulì con la mano e tornò a mangiarlo, trattenendo le lacrime.

Gli insegnanti provavano compassione, ma potevano fare ben poco.
Così ogni giorno Lira tornava a casa col cuore pesante, ma con la promessa della madre che le risuonava nella mente:

«Studia, figlia. Così non dovrai vivere come me.»

Alle superiori le cose si fecero più difficili.

Mentre i compagni avevano telefoni nuovi e scarpe firmate, lei indossava ancora la stessa divisa rattoppata e lo zaino cucito con filo rosso e bianco.

Dopo la scuola non usciva con gli amici; tornava a casa ad aiutare la madre a separare bottiglie e lattine e a venderle al deposito prima che facesse buio.

Le mani spesso erano piene di ferite e le dita gonfie, ma non si lamentava mai.

Un giorno, mentre stendevano al sole i teli di plastica dietro la loro baracca, la madre sorrise e disse:

«Lira, un giorno camminerai sul palco e io ti applaudirò con orgoglio, anche se sarò coperta di fango.»

Lei non rispose. Si limitò a nascondere le lacrime.

All’università, Lira lavorava come tutor per contribuire alle spese.
Ogni sera, dopo le lezioni, passava per la discarica dove la madre l’aspettava per aiutarla a portare i sacchi di plastica.

Mentre gli altri dormivano, studiava alla luce di una candela, con il vento che passava dalla piccola finestra della loro baracca.

Dodici anni di sacrifici.

Dodici anni di derisioni e silenzio.

Finché arrivò il giorno della laurea.

Lira fu nominata “Miglior Studentessa dell’Anno” da tutta la scuola.

Indossava la vecchia divisa bianca, sistemata da Aling Nena.

Nell’ultima fila dell’auditorium sedeva sua madre — sporca, con le braccia unte di grasso, ma con un sorriso colmo d’orgoglio.

Quando Lira fu chiamata sul palco, tutti applaudirono.

Ma quando prese il microfono, nella sala calò il silenzio.

«Per dodici anni mi hanno chiamata la figlia della spazzina», iniziò, con la voce che le tremava.

«Non ho un padre. E mia madre — quella donna laggiù — mi ha cresciuta con mani abituate a toccare lo sporco.»

Nessuno parlò.

«Da bambina mi vergognavo di lei. Mi imbarazzava vederla raccogliere bottiglie davanti alla scuola.
Ma un giorno ho capito: ogni bottiglia, ogni pezzo di plastica che mamma raccoglieva era ciò che mi permetteva di andare a lezione ogni giorno.»

Fece un respiro profondo.

«Mamma, perdonami per averti fatto vergognare. Grazie per aver rammendato la mia vita come rammendavi i buchi della mia divisa.
Ti prometto che d’ora in poi sarai il mio più grande orgoglio. Non dovrai più chinare la testa tra i rifiuti, mamma. Sarò io ad alzarla per entrambe.»

Il preside non riuscì a dire una parola.

Gli studenti cominciarono ad asciugarsi le lacrime.

E in ultima fila, Aling Nena, la spazzina magra dai capelli scuri, si coprì la bocca piangendo di una felicità silenziosa.

Da allora, nessuno l’ha più chiamata “la figlia della spazzina”.

Ora è l’ispirazione di tutta la scuola.

I suoi ex compagni, gli stessi che la evitavano, si avvicinarono uno a uno per scusarsi e chiederle amicizia.

Ma ogni mattina, prima di andare all’università, la si può ancora vedere sotto l’acacia, a leggere un libro, mangiare pane e sorridere.

Perché per Lira, per quanti riconoscimenti possa ricevere, il premio più prezioso non è un diploma né una medaglia — ma il sorriso della madre di cui un tempo si vergognava e che, di lei, non si è mai, mai vergognata.

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