«Ma chi credete di essere?! Siete soltanto delle semplici addette alle pulizie!» esclamarono le alunne sfacciate, ma sono stata proprio io a ficcar loro il naso nello sporco.
«Ehi, tu! Torna qui subito!» gridai al bambino di seconda elementare che saltellava sulle scale con le scarpe sporche. «Hai le scarpe di ricambio o no?»
«Ce l’ho, ma non ho voglia di indossarle!» rispose sfacciato e si precipitò oltre, saltando tre scalini in un balzo. Dopo un paio di secondi non si vedeva più. Sul pavimento, che avevo appena lucidato, erano rimaste tracce nere.
Era la sesta ora e le energie stavano per esaurirsi. La mano destra doleva per la continua pulizia: dovevo agitare senza sosta lo straccio o il mocio. La schiena mi faceva male perché dovevo sempre raccogliere i rifiuti abbandonati: bottiglie di plastica, cartine, sacchetti…
E che rumore… Chi non è mai stato in una scuola durante l’intervallo non può capire fino a che punto i bambini sappiano fare chiasso. Nei corridoi regnava un tale frastuono che avrebbe coperto anche il treno più urlante di scimmie.
«Di nuovo lì?» dissi alla ragazza dal trucco vistoso, che aveva scagliato un panino avvolto nella carta stagnola nell’angolo dello spogliatoio. Proprio in quel momento stavo portando un secchio e il mocio nel ripostiglio, situato nello spogliatoio delle classi superiori. Ma la mia presenza non sembrava intimidirla affatto.
«C’è un cestino proprio lì accanto!»
«E non mi va di andarci», fece l’occhiolino con aria sfacciata. «Siete voi che lavorate qui. Allora pulite voi.»
Se ne andò senza nemmeno guardarmi. Io invece mi misi a raccogliere la spazzatura. Perché quello era il mio lavoro.
Succede ogni giorno. I bambini della nostra scuola sono perlopiù figli di genitori impegnati, che non sanno nemmeno cosa siano “educazione” e “cultura”. Sono pronti a dare ai figli soldi per qualsiasi sciocchezza, ma non dedicano loro neanche un minuto.
Anche gli insegnanti cercano di non immischiarsi: non rischiano di intervenire nel comportamento degli alunni. Il loro compito è insegnare la materia, e fingono di non vedere cosa succede intorno.
«Arrivederci», mi salutò Lidia Ivanovna, l’insegnante di storia. Annuii.
Appena entrata nello spogliatoio, la sua espressione era passata da gentile a tesa. La capivo. Quella piccola e delicata donna non poteva semplicemente farcela con quei ragazzini sfacciati e sicuri di sé. La prendevano in giro continuamente — e in faccia pure.
«Ridammi!» si levò improvviso un urlo di ragazza, che mi strappò ai miei pensieri. «Tu, bambola di pezza, ridammi il mio astuccio!»
«Fermo!» istintivamente gli ostruii la strada, al ragazzo con le gote arrossate che correva lungo il corridoio.
Si arrestò, scivolando di qualche metro sul pavimento con le suole consumate.
«Finalmente!» la sottilissima bionda dai capelli platino si aggrappò alla giacca del ragazzo. «Ragazze, abbiamo beccato questa bestia!»
Fra un secondo ne comparvero altri tre…
Continua il racconto interessante nel primo commento.