Oggi Vasilij si apprestava a compiere un passo importante: aveva deciso di chiedere a Larisa di sposarlo. Alle loro spalle c’era un anno pieno di eventi, emozioni, gioie e dubbi. A Larisa avevano compiuto 32 anni, a Vasilij 37. Sembrava il momento giusto per mettere su famiglia, ma dentro di lui viveva ancora un’ansia profonda e nascosta. Aveva faticato molto per arrivare a questa decisione, come se dovesse superare una barriera invisibile fatta di dolore e sfiducia.
Le sue prime relazioni gli avevano lasciato una ferita che non si rimarginava. Era così profonda che i ricordi del passato gli facevano venire la pelle d’oca. Un tempo sognava i figli, si immaginava al parco con la carrozzina, ascoltando il primo vocio del bebè, aiutandolo a fare i primi passi. Era pronto a diventare padre: lavorava senza sosta, spremendosi al massimo per il futuro. A trent’anni aveva già due aziende proprie, non grandi, ma solide e in crescita. I soldi bastavano, la vita andava bene.
La sua ex moglie Marina era una donna di straordinaria bellezza, capace di attirare sguardi per strada. Amava curarsi: spa, saloni di bellezza, viaggi al mare. Vasilij le dava tutto questo, convinto che fosse innamorata, che avessero un futuro insieme. La fidava ciecamente. Eppure, dopo sette anni di matrimonio, non avevano avuto figli. Lui propose di fare accertamenti per capire il motivo, ma Marina si rifiutò categoricamente di parlarne.
Allora Vasilij decise di sottoporsi a visita da solo, senza scatenare litigi o accuse. Voleva essere sicuro che il problema non fosse da parte sua, per poi spingere Marina a fare lo stesso. Non immaginava che quel percorso avrebbe distrutto tutto in cui credeva.
In clinica ad accoglierlo c’era un vecchio amico, oggi responsabile dell’istituto. Dopo gli esami, bevvero qualcosa insieme e a un certo punto la conversazione virò inaspettatamente.
— Sei proprio sposato con Marina, quella che a scuola faceva girare tutti?
— Proprio lei, — rise Vasilij — ci ho messo un bel po’ per conquistarla.
— Strano, — rifletté l’amico — pensavo avessi un’altra moglie. Comunque, ovvio, segreto medico… ma siamo amici. Mi domando perché sei venuto per problemi di fertilità: tua moglie è già stata qui. E non solo una volta: ha fatto due aborti. Temo però che nessuno dei due fosse suo figlio…
Dentro Vasilij qualcosa si spezzò. Rimase senza parole, ascoltò finché l’amico non ebbe finito. In testa aveva un caos totale: quanti anni aveva desiderato un bambino mentre Marina, alle sue spalle, glieli toglieva. Lei lo rassicurava, diceva che il tempo sarebbe venuto, che il destino avrebbe concesso un’opportunità…
Proprio in quel momento arrivò un messaggio di Marina:
«Sono al bar con le ragazze, torno tardi. Bacio.»
Si sentì umiliato, dilaniato da rabbia, dolore e shock. Senza pensarci, bloccò la sua carta di credito e spense il telefono. Trascorse la notte dall’amico, ubriacandosi come non faceva da tempo, poi prese un taxi per tornare a casa, in uno stato di totale sgretolamento interiore.
Aprì la porta e trovò Marina furiosa:
— Dove sei stato?! Perché non rispondi?! La carta non funziona! L’hai bloccata tu?! Sblocca subito, mi serve!
Lui la guardò in silenzio, vide la pelliccia costosa, le sue pretese, quell’aria di superiorità che ora gli risultava estranea e ripugnante. Un tempo l’aveva amata davvero. Ora provava solo disgusto.
— Fai le valigie, — disse infine con voce calma ma decisa.
— Cosa? Stai scherzando? Sblocca la carta!
— Te l’ho detto: vattene. A piedi. Non chiamerò neanche un taxi. Non te lo meriti.
Lei, incredula, balbettò:
— Sei impazzito?!
— Esci. Poi, se vuoi, prendi le tue cose. Ora vai.
Marina corse fuori, sbatté la porta e urlò:
— Sei pazzo! Volevi una madre di figli? Non sono una schiava, voglio vivere!
Lui non rispose, chiuse la porta e restò da solo in un silenzio gelido.
Il divorzio fu una guerra. Marina pretendeva soldi, ricattava, faceva scenate isteriche. Presto però emerse che non aveva mai lavorato e le prove delle sue infedeltà vennero a galla. Amanti dopo amanti. Vasilij si sentì un idiota. Ci mise molto a riprendersi. Si fece la promessa di non fidarsi mai più ciecamente di una donna.
E quando si sentì di nuovo pronto a ricominciare, nella sua vita tornò Larisa.
Si erano incrociati in passato, a qualche festa. Lei era viva, aperta, brillante. Ma quando si rincontrarono un anno e mezzo prima, lui quasi non la riconobbe: il divorzio, la stanchezza e il dolore avevano spento i suoi occhi, pur mantenendo una scintilla di vita. Non sapeva nulla del suo passato e lei non affrettava i racconti. Lui non chiese, ma si chiedeva: e se la storia si ripetesse? Se Larisa fosse come Marina? Ci furono giorni in cui voleva mollare tutto. Lei taceva o piangeva. Pensava: forse non riesce a fidarsi. O nasconde qualcosa di grave.
Perfino aveva pensato di parlare con l’ex marito, Sergej, ma era sparito dopo il fallimento.
Ma sentiva che Larisa era diversa. Lo sentiva, anche se aveva paura di sbagliare di nuovo.
Oggi però aveva deciso: avrebbe tirato fuori l’anello e fatto la proposta. Forse proprio con lei avrebbe ritrovato ciò che gli era stato negato per tanto tempo: fede, amore e la possibilità di essere davvero felice.
Larisa lo osservava attentamente: da come fissava con tensione la tazza in mano e annusava quel poco di tè avanzato, capì che voleva dire qualcosa di importante. Il cuore le si chiuse. Sapeva di cosa voleva parlare, e la paura la assalì. Non perché lui non le importasse — anzi: lui era l’uomo più solido che avesse conosciuto. Ma iniziare una relazione fondata su una menzogna, che prima o poi sarebbe venuta a galla? Sarebbe stato un tradimento della sua fiducia.
Larisa era certa che la verità sarebbe venuta fuori e che, più avrebbe taciuto, più il dolore sarebbe stato forte. “Devo dirglielo, se voglio costruire qualcosa di autentico”, pensava. Ma come spiegare a un uomo che si prende cura dei bambini, che un giorno lei… aveva rinunciato alla figlia neonata?
Ricordava che Vasilij un giorno le aveva raccontato di non aver perdonato l’aborto della sua ex. Era stato la fine di quella relazione. Cosa sarebbe successo quando avesse saputo che Larisa… aveva rinunciato alla sua bambina?
La memoria le restituiva scene come in un film: dall’inizio di quella gravidanza, Sergej era cambiato. Sparirono le attenzioni, arrivarono la durezza e l’irritazione. La costringeva a guardarsi allo specchio, insultandola: “Guarda che schifo, ti stai rovinando”. Una sera la strattonò in auto, facendole male al ventre; lei soffrì per giorni. Lui poi si scusava, ma niente cambiava. Poco dopo arrivarono i parti prematuri.
In ospedale, Sergej le disse: “Non posso restare qui. Chiamami quando è finita”.
Furono ore drammatiche. Quando sentì il primo vagito, Larisa pianse di gioia: la sua bambina era viva. Ma i medici, preoccupati, sfogliavano i referti. Lei domandò: “Cos’ha mia figlia?”
“Ha delle malformazioni congenite: un braccino deformato e l’orecchio sotto sviluppato. Ma è robusta, vivrà. Con operazioni e cure potrà fare una vita normale.”
Larisa pianse ancora: stringeva la bimba al petto. Poi sentì Sergej entrare e commentare con crudele impassibilità: “Che mostro… o la lasci o te ne vai.” E se ne andò sbattendo la porta.
Iniziò l’incubo: i suoceri la pressavano per firmare il modulo di rinuncia, in cambio di soldi per le cure. Lei, disperata, rifiutò piangendo. Sergej la sedò con tranquillanti, le fece firmare i documenti in uno stato di semincoscienza. La mattina dopo la riportò a casa senza la bambina, dicendole che era morta dopo un intervento.
Larisa non credette alla notizia, denunciò tutto alla polizia, finì in clinica psichiatrica per due mesi. Dopo la dimissione ottenne il divorzio, rinunciando a ogni bene materiale. Nessuno però le disse nulla: forse la bambina era viva e nascosta.
Nei mesi successivi nessuno la assumeva — Sergej le aveva rovinato la reputazione. Dovette trasferirsi in un’altra città e ricominciare. Solo quando seppe che lui era scappato dai creditori tornò in zona. E da allora aveva resistito.
Adesso, camminando nel parco con Vasilij, sentiva che lui stava per farle la proposta. “Debbo dirglielo — pensava — se davvero voglio qualcosa di vero”.
Stava seduta vicino allo stagno, spezzava il pane per i piccioni. Vasilij sapeva che amava nutrirli, e comprava sempre una pagnotta intera per lei. Era diventato un rituale, guardarli avvicinarsi fiduciosi come sentissero la bontà del suo cuore.
Quel giorno, mentre sedevano, una bambina le si avvicinò: “Posso un po’ di pane?” Vasilij allungò l’intera baguette. La bimba si sedette accanto a Larisa con una sola manina libera — l’altra nascosta in tasca, forse un protesi. Si chiamava Olja, aveva sei anni e viveva in orfanotrofio. Con voce flebile chiese di non chiamare la polizia: voleva compagnia per mezz’ora.
Mentre Olja mangiava, Larisa vide la mano deformata e un orecchio mancante. Un ricordo atroce le si affacciò in mente, e svenne. Vasilij la sorresse, fece accorrere i passanti che chiamarono l’ambulanza. Ma al loro ritorno larisa era sparita.
In ospedale, Larisa voleva andarsene: “Devo andare da mia figlia!” urlò. Vasilij, attonito: “Che figlia? Non mi hai mai detto di avere una bambina!”
“Perché credevo fosse morta… ma ho capito di essermi sbagliata.” E fuggì.
Vasilij la inseguì in auto, la convinse a salire e la portò all’orfanotrofio. Là si presentò al direttore: “Io sono la madre di Olja. Voglio riprenderla.” La direttrice, sorpresa, chiese documenti di affido. Larisa aveva solo un vecchio rifiuto firmato anni prima. Quando la mostrò, Vasilij trasalì: non poteva credere che lei avesse davvero rifiutato la figlia. Larisa disse: “Ti racconterò tutto, ma non qui.”
Davanti al direttore, lei raccontò ogni dettaglio: il parto, le maltrattamenti di Sergej, la firma forzata, la finzione della morte. Il direttore, impressionato, consigliò un test del DNA: avrebbe permesso di stare con la bambina durante le indagini.
Mentre Larisa correva in clinica per i risultati, Vasilij aspettava in macchina. Quando lei tornò con l’esito positivo, tornarono all’orfanotrofio. La direttrice comunicò che la polizia aveva scoperto le frodi di Sergej e che Olja poteva vivere con la madre finché il processo andava avanti.
Olja, incontrando finalmente Larisa, capì subito: “Sei proprio tu… mia mamma?” e si gettò tra le sue braccia. Larisa pianse di gioia. Da quel giorno, madre e figlia iniziarono a prepararsi per le operazioni e a mettere insieme i documenti necessari.
Qualche giorno dopo, il direttore chiamò per firmare un permesso di soggiorno temporaneo di Olja a casa di Larisa in attesa del giudizio. In quell’atto Larisa lesse di poter vendere parte dei suoi gioielli e chiedere un prestito, poiché le cifre per l’intervento erano elevate.
Tornate a casa, madre e figlia si misero a impastare dolci, in un’atmosfera quasi magica, tra farina sparsa e risate. Olja, sporca di farina, ruppe un uovo nel caffè di Larisa, e insieme scoppiarono a ridere. A quel punto bussò alla porta: era Vasilij.
Entrò in cucina, offrì il suo aiuto: “Mia madre faceva i migliori dolci, ed ero il suo assistente.” In poche ore ripulirono tutto, e i dolci furono divorati.
In salotto, Larisa e Vasilij, stanchi ma felici, si sedettero col tè. Lui la guardò: “Scusami, non sapevo nulla. Mi dissero che avevi rinunciato a un figlio… ho voluto capirci meglio.”
Lei lo interruppe: “Non ti biasimo. Solo ora non possiamo stare insieme.”
Lui la guardò perplesso: “Perché? Per tua figlia?”
Lei abbassò lo sguardo: “Hai sempre frequentato donne senza figli. Io ora ne ho una, con bisogni speciali. Non voglio essere un peso.”
Lui sorrise: “Fai un sorriso, per favore. Ho parlato con un amico chirurgo plastico: è disposto a operare Olja gratuitamente. Ha buone probabilità di successo.”
Lei si commosse: un uomo che la conosceva da poco la difendeva come se fosse un problema suo. In quel momento capì: quello era l’uomo che aveva sempre aspettato. Una famiglia vera, non di facciata.
E fu così che, tra tè e promesse, una nuova vita prese forma per Vasilij, Larisa e la piccola Olja.