La madre sapeva: quel ragazzo era un mascalzone. Ma la figlia non le dava ascolto… finché un giorno non vide chi in realtà le portava le margherite sotto la finestra.

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– «Natasha, non andare da lui! Ti ingannerà!» esclamò Svetlana con voce rotta dall’ansia, erigendosi come un muro davanti alla porta. Le sue dita si aggrapparono convulsamente al telaio di legno, come se fosse l’ultimo appiglio tra un passato spaventoso e un futuro incerto. Negli occhi della madre brillava una supplica, quasi disperazione. Sapeva che, se avesse taciuto, la figlia sarebbe andata incontro a dolore.

– «Mamma, ma che dici?! Non hai visto le margherite sul davanzale stamattina? Chi altro me le porterebbe ogni giorno?! Lui mi ama!» ribatté Natasha, restando in equilibrio su una gamba mentre cercava di allacciare la fibbia capricciosa dei sandali. Sottile, bionda, avvolta in un abito bianco da festa cucito ieri sera dalla madre, sembrava l’incarnazione dell’innocenza e della giovane speranza. Negli occhi le scintillavano stelle, e il cuore, colmo di sentimenti, non ascoltava avvertimenti.

– «Amare? E Marina l’amava, vero? E dov’è adesso quella povera Marina?! Sta a pascere il bambino dalla zia in campagna, mentre quell’uomo già guarda un’altra per un’ora!» disse Svetlana con voce aspra, non cattiva, ma infuocata dal dolore e dall’amarezza degli anni. Capiva bene: la figlia non l’avrebbe ascoltata. Non perché fosse stolta o testarda, ma perché era innamorata. Proprio come lo era stata lei una volta: senza riserve, senza memoria, senza pensare alle conseguenze.

Ricordava quel turbine che l’aveva travolta in gioventù, come tutto intorno fosse diventato irrilevante: né l’opinione dei genitori, né i consigli degli amici, né il futuro. Esisteva solo lui, ed era sufficiente. Ma poi la gioia fu sostituita dal silenzio del disinganno, e i sorrisi dalle lacrime. Svetlana sapeva cosa aspettava la figlia: notti insonni, sospiri d’illusione, brevi istanti di felicità… e poi dolore. Dolore del tradimento. Dolore della perdita della fede. E se lei, Svetlana, era riuscita in qualche modo a sopravvivere, che cosa avrebbe dovuto affrontare Natasha, con un’anima più pura e delicata della sua? In quella bambina non c’era nemmeno un’ombra di cinismo: non conosceva il dolore, non aveva mai assaporato il tradimento. Brillava come una stellina, illuminando chi le stava accanto.

– «Natasha, tesoro, fermati… Non ti serve questo!» gridò Svetlana, afferrando le chiavi dalla serratura per trattenere la figlia. – «Non ti lascerò andare!»

– «Mamma!» la voce di Natasha si spezzò, e gli occhi si riempirono di lacrime. Provava un dolore ingiusto, inimmaginabile! La madre non si era mai comportata così. Perché ora era diversa? Non voleva veramente la felicità della figlia?

– «Lasciami…» Natasha fece un passo verso la madre, incontrando uno sguardo pieno di angoscia e sofferenza. – «Andrò comunque. Mamma, non capisci? Io lo amo…»

La ragazza prese delicatamente la mano della madre, baciò le nocche tese dalle arrabbiature, e le chiavi caddero nella palma di Svetlana.

– «Grazie…»

La porta sbatté. Un silenzio gelido calò per un istante nella stanza. Poi Svetlana gridò con tutta l’anima: un’urlo che portava la disperazione di un lupo che ha perso i cuccioli. Non era un grido soltanto sonoro, ma tutto il suo dolore, la paura e la rassegnazione più profonda. Davvero si sarebbe ripetuta la stessa storia? Davvero Natasha avrebbe sofferto come lei?

Svetlana aveva conosciuto Petr molto tempo prima, ai balli di scuola. Le amiche la trascinarono lì, stanche di vederla sempre “brava ragazza a casa”.

– «Non ti piacerebbe un po’ di libertà? Sempre tra scuola e casa, senza mai vivere!» le dicevano. Ma Svetlana niente capiva: il suo posto era a casa, ad aiutare. Mamma stava male, papà partiva per lavoro, i compiti e le faccende domestiche la sovrastavano. E poi sognava un grande amore, come nei libri: che fermasse il cuore, facesse cantare l’anima e durasse per sempre, come quello dei nonni.

Li ammirava con reverenza: quanto calore in ogni sguardo, quanta cura in ogni gesto! Anche dopo anni di matrimonio si amavano ancora come il primo giorno.

– «Mamma, perché ami così tanto papà?» chiese un giorno, appoggiandosi alla spalla materna.

– «Come non amarlo, tesoro? Mi prenderebbe la luna dal cielo, pronta a rivoltare il mondo per me. Sempre è stato così. Quando arrivava a scuola buttava lo zaino sulla cattedra con un sorriso, e mi portava due ciambelle: una per me e l’altra la spezzava in due.»

– «Perché?» insistette la bambina.

– «Io ero una grande golosona!» rise la madre. – «Amavo mangiare. Meno male che non era roba da cavalli, come diceva la nonna. Ma so che anche così lui mi amava lo stesso.»

– «Perché?»

– «Perché a lui, come a me, non importava l’apparenza. L’importante è la persona giusta.»

– «Che vuol dire?»

– «Figlia mia, se senti di poter svegliarti ogni mattina accanto a lui, di vederlo ogni giorno e di avere dei figli insieme, ecco: quello è amore. Ma è solo metà della storia.»

– «Perché?»

– «Perché deve trovarti anche lui. Non tutti sono fortunati come me e papà. Spesso uno ama e l’altro sopporta.»

– «È possibile?» domandò sconvolta Svetlana.

– «Sì, piccola mia. Succede…»

All’epoca non la capiva, ma anni dopo scoprì che la nonna era stata data in sposa controvoglia. Una vita vissuta insieme a un uomo che non le aveva mai detto “ti amo”. E alla fine, prima di morire, le aveva sussurrato: “Meglio nipoti sole piuttosto che un matrimonio senza amore”. Da quel momento Svetlana aveva giurato: avrebbe cercato la sua felicità, finché non l’avesse trovata.

E in effetti papà era sempre accanto, ma lei desiderava qualcosa di più. Quando Petr le chiese in sposa, l’aveva accettato non per amore, ma per la promessa di condivisione: che avrebbe continuato a suddividere la sua vita come le sue amate ciambelle.

Ma si sbagliava. All’inizio Petr la trattò con rispetto, poi si sentì sicuro che fosse sempre lì. Veniva ogni sera al suo cancello, salutava i genitori con una cortesia formale e chiedeva:

– «Posso portare Svetlana al ballo?»

Come rifiutare un uomo così gentile? Con le sue parole melodiose, le sue promesse credute e la sua timidezza apparente, sembrava il principe dei suoi sogni. E Svetlana si sentiva una colomba liberata da una gabbia. Il cuore le tremava alle sue dolci parole e alle sue mani gentili in danza. Pensava di aver finalmente trovato il destino.

Finché un giorno Petr disse: «Me ne vado. Un amico mi ha invitato in un posto lontano.»

– «Aspetta, Petr… e io?» lo supplicò Svetlana.

– «E tu? Stavi bene con me, no?»

– «Sì…»

– «Allora è stato bello, Svetka, ma è passato. Tutto è finito.»

Svetlana lo guardò scomparire, con le gambe che la sostenevano a malapena. Avrebbe voluto urlare, piangere, inseguirlo, ma non una lacrima: solo vuoto e gelo nel cuore. Pensò a quel calore che cresceva dentro di lei: non più un amore, ma la vita di un bimbo che batteva in sintonia con il suo cuore. Decise: «Niente padre, niente amore, ma questo bambino crescerà nell’amore, nella cura e nella comprensione. Nessuno lo ferirà come hanno ferito me.»

Così, qualche mese dopo, nacque Natasha: robusta, vociante, gioiosa, con grandi occhi azzurri, chioma biondina e guanciotte come mele mature. Somigliava alla nonna in sguardo, sorriso e carattere: gentilezza, apertura e luce.

La gioia di Svetlana durò poco. Quando Natasha aveva sei mesi, la nonna morì nel sonno. Svetlana, in piedi accanto alla culla, stringeva la figlia che non capiva la tristezza intorno.

– «Piangeremo dopo, tesoro. Non adesso, altrimenti il latte si guasta!» singhiozzò il padre di Svetlana, cullando la nipotina. Lei non poteva piangere: doveva vegliare due bimbi, allevare la figlia e crescere la sorellina. La vita non concedeva tempo al lutto.

E Svetlana proseguì: divenne madre e padre per tutti, insegnò a Natasha bontà, onestà e gentilezza. Non si sposò mai. Papà insisteva, ma lei rispondeva:

– «No, papà. L’amore mi ha tradita. Senza amore, la vita non è vita.»

Natasha crebbe affettuosa e dolce, regalando abbracci senza motivo. Amava gli animali domestici: gatti, cani, criceti vivevano felici sotto lo stesso tetto.

– «Mamma, fammi un abbraccio!» un giorno gridò Natasha.

– «Attenta alla volpe!» rispose la madre, carezzandole i capelli. – «A casa abbiamo già cinque coda da accudire.»

– «Non posso abbandonarla! È viva!»

Svetlana sospirava e accarezzava la bambina: dove cinque ci sono, anche il sesto trova posto. Come altrimenti imparare la gentilezza se non con l’esempio?

Aiutò la sorella a sposarsi, risparmiò per l’istruzione di Natasha: credeva che sarebbe stata la prima della famiglia ad ottenere una laurea. Ma il destino volle diversamente.

Un giorno la vicina Nadezhda bussò alla porta con notizie amare: sua figlia Marina era stata ingannata da Sashka e dovette partire dalla villaggio con il neonato in braccio.

– «Ho implorato Marina di non seguirlo, ma non mi ascoltò. Ora temo che rifiuterà il suo bambino per vergogna…»

Svetlana abbracciò l’amica:

– «Non respingere tua figlia e il tuo nipote! Non è colpa loro se un mascalzone l’ha ingannata.»

Nadezhda singhiozzò:

– «Ma come sopravvivere con questa ferita?»

– «Hai un nipote vivo! È un dono di vita, non un’onta. Il passato è passato: ciò che conta è il presente.»

Nadezhda capì: anche Sashka ora corteggiava Natasha.

Una sera Natasha rientrò raggiante:

– «Mamma, sono felice!»

– «Natasha, dobbiamo parlare.»

– «Dopo, devo studiare per l’esame di domani! Poi sì, parleremo.»

La madre tentennò, ma la ragazza sparì dalla porta di casa.

I giorni scorsero veloci. Natasha superò l’esame e tornò con una medaglia:

– «Per te, mamma!»

– «Ora preparati per l’università.»

– «Ho cambiato idea: sposo Sashka.»

– «Ha già fatto la proposta?»

– «Sì… no… insomma, che importa? È chiaro!»

– «Non c’è nulla di chiaro! Se ti ama davvero, venga a chiederci la mano.»

– «Mamma, lascia perdere! Lui dice che qui vivremo bene, troverà lavoro, e poi, quando nascerà un bambino, ci sposeremo.»

– «Niente favole! Io ti ho allevata per essere rispettata, non per servirti di qualcuno!»

Urla, lacrime, sofferenza: ogni giorno un dramma. Svetlana si chiedeva se lasciar correre la figlia, sperando che imparasse dai propri errori, o proteggerla a costo di imprigionarla.

Intanto la vita osservava, asciugava le lacrime di Svetlana e ammirava il sorriso addormentato di Natasha. Poi posò lo sguardo sul mazzo di margherite sul davanzale.

– «Ama, non ama, bacia, tradisce… ama, non ama…»

Natasha si svegliò appena udì un mazzo di fiori posarsi fuori dalla finestra. Guardò fuori e rimase senza fiato: non era Sashka a portarli, ma Grisha Smoljakov, il vicino riservato che viveva nell’ombra.

Tutto si fece chiaro.

– «Mamma, dobbiamo partire!» esclamò Natasha correndo in cucina a piedi nudi.

– «Dove, tesoro?»

– «In città. A studiare!»

– «Grazie a Dio! Hai finalmente capito!» scoppiò in lacrime Svetlana.

– «L’amore non nasce dall’inganno, vero, mamma?»

– «Verissimo… E chi ti ingannò, cara?»

– «Sashka, fin dall’inizio. Io gli credevo… Poi scoprii che le margherite erano di Grisha.»

Svetlana non disse nulla: baciò la figlia e prese il vecchio baule dei ricordi più dolci.

Qualche anno dopo, Natasha sposò Grisha, che la seguì in città per starle vicino. Alla cerimonia, Svetlana chiese allo sposo:

– «Dove vivrete? In città?»

– «Torneremo a casa, mamma Svet. In città non ci sono margherite come piacciono a Natasha.»

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