«— E perché vostro bambino occupa una cuccetta separata nel compartimento? Dovrebbe dormire con voi!», una signora maleducata ha cercato di prendere il nostro posto già pagato.

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— Perché ti metti a urlare, mocciosa? — sbuffò Klava con fastidio. — Calmala o vai in corridoio! Non serve urlare qui!

Marina strinse i pugni.

— Non osare parlare così con mio figlio!

— E cosa avrei detto di così grave? — rispose Klava con arroganza. — Anche io voglio dormire! Qui c’è solo un pianto!

Il vagone oscillava dolcemente, cullando il caldo afoso di un pomeriggio estivo. Marina, sistematasi comodamente sul letto inferiore, osservava di nascosto i suoi tre bambini. Dimka, il più grande, era immerso nella lettura di fumetti. Suo fratello gemello, Sashenka, disegnava qualcosa in un album, sporgendo la lingua per concentrazione. E la piccola Katyusha, appena tre anni, tamburellava il lembo dell’abito della madre.

Nel corridoio fece capolino la capotreno, di corporatura robusta e con i capelli raccolti in modo distratto.

— Buongiorno! I vostri biglietti, per favore.

Marina porse quattro biglietti.

— Ecco, avete prenotato tutti i posti, incluso quello infantile. La più piccola potrebbe viaggiare gratis per età, vero?

— Sì, potrebbe, — sospirò Marina, stanca. — Ma ho preferito acquistare tutti i posti. Volevo evitare compagni di viaggio sconosciuti.

La capotreno fece un mezzo sorriso, senza aggiungere altro.

— Bene. Buon viaggio!

Appena il treno si mosse, Marina e Katyusha andarono in bagno per lavarsi dopo il viaggio. Al ritorno, trovarono una spiacevole sorpresa: sul letto inferiore sedeva una donna sconosciuta, paffuta, sui cinquant’anni, con uno sguardo sfacciato e avvolta in un accappatoio floreale spiegazzato.

— Mi scusi, — balbettò Marina. — Lei… chi è?

La capotreno ricomparve nel compartimento, abbassando lo sguardo con imbarazzo.

— È successo così… Questa donna deve assolutamente raggiungere il padre malato a Kirov e non ci sono altri posti liberi. Forse potreste…

Marina avvertì un’ondata di indignazione. Aveva pagato per tutti i posti! Ma lo sguardo di disperazione della donna la fece vacillare.

— Va bene, — acconsentì a malincuore. — Può accomodarsi.

La capotreno tirò un sospiro di sollievo.

— Grazie mille! È molto gentile.

La prima ora di viaggio trascorse relativamente tranquilla. Klava, come si era presentata, restava in silenzio a guardare fuori dal finestrino. Marina cercava di ignorarla, intrattenendo i bambini con giochi e letture.

Ma presto l’idillio finì. Klava rientrò barcollando, emanando un forte odore di alcol.

— Allora, perché state sedute? Perché quell’aria da lutto? — proclamò, lasciandosi cadere sul letto inferiore. — Presentiamoci! Io sono Klava! E voi chi siete?

Marina si presentò, cercando di mantenere la calma. I bambini, spaventati, si arrampicarono sui letti superiori. Katyusha, percependo la tensione, scoppiò in lacrime.

— Perché ti metti a urlare, mocciosa? — borbottò ancora Klava. — Calmala o vai in corridoio! Non serve urlare qui!

Marina strinse i pugni.

— Non osare parlare così con mio figlio!

— E cosa avrei detto di così grave? — ribatté Klava con sfrontatezza. — Anch’io voglio dormire! Qui c’è solo un pianto!

Sentendo la rabbia salire, Marina prese in braccio Katyusha ed uscì nel corridoio. Attraverso il fragore del treno udiva le urla ubriache di Klava provenire dal compartimento. Si sentiva sul punto di piangere per impotenza e umiliazione. Aveva pagato per il comfort e si trovava in un incubo.

A una piccola stazione il treno fece sosta. Marina approfittò della fermata per scendere con i bambini e prendere un po’ d’aria fresca. Al ritorno, trovò la porta del compartimento chiusa dall’interno.

— Klava! Apri! — bussò Marina.

Silenzio. Bussò sempre più forte, ma la porta restava bloccata. Disperata, si rivolse alle capotreno.

— Aiuto! La mia vicina di posto si è chiusa dentro e non apre!

Le capotreno, distratte, alzarono le spalle.

— Forse sta dormendo. Non possiamo mica sfondare la porta… E perché occupate un posto intero per un bambino?

Furiosa, Marina corse a cercare il capotreno di turno.

— È uno scandalo! — si lamentò lui, ascoltando il racconto. — Ora sistemiamo tutto!

Il responsabile si diresse deciso al vagone, seguì da Marina. Estrasse la chiave e aprì la porta. Quello che videro fu sconcertante: Klava, ubriaca fradicia, dormiva sul letto inferiore, gambe e braccia spalancate. Sul tavolino c’erano una bottiglia vuota e un mucchio di spazzatura.

— Ma che razza di scena è questa? — tuonò il capotreno scuotendo Klava per le spalle. — Alzati! Esci subito! Alla prossima fermata ti faccio scendere!

Klava, balbettando parole incomprensibili, si alzò a fatica, barcollando. Rivolse a Marina uno sguardo colmo di odio, ma lei non si lasciò intimidire.

— Te la farò pagare! — ringhiò Klava, poi uscì dal compartimento accompagnata dal capotreno.

Marina rientrò e si sedette al suo posto, stringendo Katyusha al petto. I ragazzi, scambiandosi un sospiro di sollievo, ripresero le loro occupazioni. Le capotreno evitarono il suo sguardo, mentre gli altri membri del personale ferroviario, con occhiate comprensive, la invitavano a non lamentarsi.

Il treno ripartì. Katyusha si addormentò sul petto di Marina. I ragazzi tornarono ai loro giochi e letture. Marina guardò fuori dal finestrino i paesaggi che scorrevano e rifletté su quanto accaduto. Si sentiva svuotata e stanca.

Le conveniva essere così fiduciosa? Era stato giusto aprire la sua vita a una sconosciuta, seppur in difficoltà?

Alla fine decise di non sporgere reclamo. Comprese che non si deve mai fidare ciecamente degli estranei. La gentilezza è una virtù, ma va dosata con cautela. E prima di tutto bisogna pensare alla sicurezza e al benessere dei propri figli. Si appoggiò allo schienale, chiuse gli occhi e avvertì un senso di pace. Il peggio era passato. Davanti a lei si apriva una nuova città, una nuova vita. E avrebbe fatto di tutto per proteggere i suoi figli da ogni sventura…

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