Un insegnante anziano aveva pagato il pasto di un ragazzo che tremava dal freddo e, sette anni dopo, il ragazzo gli ha restituito il favore.

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La gentilezza spesso ritorna, anche quando la si aspetta meno. Per un anziano insegnante, la semplice decisione di aiutare un ragazzo in difficoltà in una gelida giornata invernale ha dato inizio a una serie di eventi che sarebbe venuta alla luce anni dopo.

La neve cadeva a soffici, incessanti fiocchi, ricoprendo le strade di bianco e ovattando i soliti rumori della frenetica città.

All’interno di un piccolo diner accogliente, il signor Harrison, un insegnante in pensione dagli occhi buoni e con una chioma grigia ormai rada, sedeva vicino alla finestra. Accanto a lui, sul tavolo, c’era una tazza fumante di caffè e la sua copia consumata di “Il buio oltre la siepe”.

Il signor Harrison voltava le pagine ogni tanto, alzando lo sguardo per osservare le persone che passavano frettolosamente.

Gli piaceva quel posto: era tranquillo, caldo e familiare. Notò la porta del diner aprirsi con un tintinnio acuto. Un ragazzo entrò, tremando e battendo i piedi per scaldarsi, cercando di scrollarsi di dosso il freddo.

Il ragazzo non poteva avere più di tredici anni. Indossava una giacca sottile e troppo grande, come se fosse stata passata di mano in mano troppe volte, e scarpe che sembravano due numeri più grandi. Le guance gli erano arrossate dal freddo e i capelli scuri, inumiditi dalla neve sciolta, gli aderivano alla fronte.

Il signor Harrison abbassò leggermente il libro, scrutandolo in silenzio.

Il ragazzo indugiò un istante vicino alla porta prima di avvicinarsi alla macchina distributrice in un angolo. Si avvicinò esitante, infilò la mano in tasca, e dopo qualche tentativo tirò fuori una manciata di monete.

Non erano sufficienti. Le spalle del ragazzo si afflosciarono e lui guardò intorno nervoso.

Il signor Harrison richiuse il libro e lo appoggiò sul tavolo. Bevve un sorso di caffè, osservando attentamente il ragazzo.

«Scusa, giovanotto», lo chiamò con voce gentile.

Il ragazzo si bloccò e si voltò, con un’espressione mista a sospetto e imbarazzo. «Sì?»

«Perché non vieni a sederti un attimo con me? Avrei bisogno di compagnia», disse il signor Harrison con un sorriso caloroso.

Il ragazzo esitò, cambiando posizione. «Non devo… io solo…» Guardò di nuovo la macchina.

«Va tutto bene», disse il signor Harrison, con un tono gentile ma deciso. «Fa troppo freddo per stare in piedi, non credi? Avanti. Non mordo.»

Dopo un momento, il ragazzo annuì. La fame e la promessa di calore ebbero la meglio sul suo orgoglio. Si avvicinò al tavolo del signor Harrison, con le mani ben infilate nelle tasche della giacca.

«Come ti chiami?» chiese il signor Harrison quando il ragazzo si fu seduto.

«Alex», sussurrò il ragazzo, fissando il tavolo.

«Bene, Alex, io sono il signor Harrison», disse tendendogli la mano.

Alex esitò prima di stringerla. La sua stretta era piccola e gelida.

«Ora», disse il signor Harrison, richiamando la cameriera, «che ne dici di un po’ di cibo caldo? Mi piacciono la zuppa, un panino, magari entrambe le cose?»

«Non è necessario—» iniziò Alex, ma il signor Harrison alzò una mano per fermarlo.

«Nessuna obiezione, giovanotto. Offro io», disse con un’occhiata complice. «Inoltre, ho bisogno di compagnia.»

Arrivò la cameriera e il signor Harrison ordinò una zuppa di pollo e un tramezzino al tacchino. Alex rimase in silenzio, con le mani in grembo.

«Allora», disse il signor Harrison una volta portato il cibo, «cosa ti porta qui oggi, Alex?»

Alex scrollò le spalle, evitando il contatto visivo. «Solo… avevo bisogno di scaldarmi un po’.»

Il signor Harrison annuì, concedendogli tempo.

Mentre Alex mangiava, cominciò a rilassarsi. All’inizio i suoi movimenti erano cauti, ma ben presto la zuppa bollente e il panino caldo sembrarono sciogliere la sua rigidità. Tra un boccone e l’altro, raccontò al signor Harrison della sua vita.

«Mia madre lavora molto», disse Alex a bassa voce. «Ha due lavori, quindi sto da solo gran parte del tempo dopo la scuola.»

«Due lavori?» chiese il signor Harrison, aggrottando la fronte. «Dev’essere dura per voi.»

Alex annuì. «Fa del suo meglio, capisci? Ma… a volte è difficile.»

Il signor Harrison si appoggiò allo schienale, con lo sguardo mesto. «Mi ricordi uno dei miei vecchi studenti», disse. «Intelligente, laborioso, pieno di potenziale. Proprio come te.»

Alex arrossì e fissò il piatto. «Non sono poi così intelligente», mormorò.

«Non svalutarti», disse il signor Harrison con fermezza. «Un piccolo aiuto può fare la differenza. E un giorno, quando sarai tu a poter dare una mano, promettimi che lo farai.»

Alex lo guardò, serio. «Cosa intendi?»

«Intendo», spiegò il signor Harrison, «che la gentilezza torna sempre indietro. Quando qualcuno ti aiuta, tu fai lo stesso. Aiuta qualcun altro quando ne avrà bisogno.»

Alex non rispose subito. Abbassò lo sguardo, riflettendo sulle sue parole.

Il tintinnio della porta del diner interruppe il momento e Alex guardò verso l’ingresso. La neve continuava a cadere fuori, e il mondo oltre il diner era freddo e grigio.

«Grazie», disse Alex piano, la voce quasi coperta dal brusio del locale.

Il signor Harrison sorrise. «Prego.»

La cameriera tornò per raccogliere i piatti e Alex si agitò sulla sedia, incerto su cosa fare dopo.

«Sei sempre il benvenuto qui, Alex», disse il signor Harrison. «Ora, non lasciare che quella zuppa vada sprecata. È troppo buona.»

Alex sorrise timidamente per la prima volta. Prese l’ultimo cucchiaio di zuppa e lo finì. Il calore lo avvolse, non solo per il cibo ma per la gentilezza ricevuta da uno sconosciuto.

Passarono gli anni.

Il bussare alla porta fu inaspettato. Il signor Harrison, ormai fragile e lento nei movimenti, si avvicinò con passi deliberati. Il suo piccolo appartamento era poco illuminato e il freddo dell’inverno filtrava dalle vecchie finestre. Quando aprì, gli occhi si spalancarono per la sorpresa.

Davanti a lui c’era un giovane vestito con un soprabito elegante, i capelli scuri pettinati con cura. Tra le mani teneva un grande cesto regalo pieno di frutta fresca, pane e prelibatezze.

«Signor Harrison», disse il ragazzo con voce leggermente tremante. «Non so se si ricorda di me.»

Per un attimo, il signor Harrison fissò il volto familiare, cercando di ricordare. Poi i suoi occhi si illuminarono.

«Alex?» chiese con voce incrinata dall’incredulità.

Alex annuì, un sorriso raggiante sul volto. «Sì, sono io. Sette anni dopo, ma non potevo scordarla.»

Il signor Harrison fece un passo indietro, invitandolo ad entrare. «Prego, entra! Guardati, sei cresciuto!»

Alex entrò, appoggiando il cesto sul piccolo bancone della cucina. Osservò l’appartamento modesto e un po’ disordinato, con pile di libri e una poltrona consumata vicino alla finestra.

«Ti ho rintracciato grazie al diner», spiegò togliendosi il cappotto. «Ricordavo il suo nome e il proprietario mi ha aiutato. Ci ho messo un po’, ma dovevo trovarla.»

Il signor Harrison rise piano, appoggiandosi sulla sedia. «Che sorpresa. Non avrei mai pensato di rivederti, figuriamoci così.»

Alex si sedette di fronte a lui, con uno sguardo sincero. «Volevo ringraziarla da tanto tempo. Quel giorno non mi ha solo comprato un pasto: mi ha fatto sentire importante, come se qualcuno credesse in me. Ha cambiato tutto.»

Il signor Harrison inclinò la testa, curioso. «Come ha cambiato tutto?»

Alex si chinò in avanti, la voce rotta dall’emozione. «Quella sera ho raccontato tutto a mia madre. Ha pianto. Ha detto che se uno sconosciuto poteva vedere qualcosa in me, forse poteva credere anche lei in un futuro migliore.»

«Abbiamo iniziato a fare più fatica, insieme. Ho studiato come un matto, ottenuto borse di studio e laureato. Ora ho un buon lavoro e posso finalmente fare quello che mi ha chiesto: passare avanti quel favore.»

Gli occhi del signor Harrison si inumidirono e lui si schiarì la gola. «Sono orgoglioso di te, Alex. Hai fatto un ottimo lavoro.»

Alex prese il cesto regalo. «Questo è solo l’inizio. Sono qui per aiutarla, signor Harrison. Qualunque cosa le serva — la spesa, sistemare qualcosa in casa o semplicemente compagnia. Mi ha donato così tanto con quel pasto. Lasci che io ricambi.»

Il signor Harrison rise, caldo e tenero. «Ricambiarmi? Mi hai già ripagato, Alex, solo per essere qui.»

Nelle settimane successive, Alex divenne una presenza costante. Portava generi freschi, aiutava con le riparazioni e restava per lunghe conversazioni sorseggiando tè.

«Non devi assolutamente venire ogni giorno», disse un pomeriggio il signor Harrison, sebbene la sua voce tradisse quanto gradisse la compagnia.

«Voglio farlo», rispose Alex. «Non è solo per ripagare la gentilezza. Sei diventato famiglia.»

Con le cure di Alex, il signor Harrison cominciò a cambiare. Il suo appartamento, un tempo cupo, si fece più luminoso, pieno di risate e del profumo di pane appena sfornato. La sua salute non migliorò miracolosamente, ma il suo spirito fiorì.

«Hai un modo di far sentire un vecchio come me di nuovo giovane», scherzò un giorno il signor Harrison.

Alex sorrise. «E tu hai un modo di far sentire un uomo cresciuto come un bambino.»

Il signor Harrison rifletteva spesso su come un gesto semplice avesse innescato un’onda capace di portare tanta gioia nella sua vita. In Alex vedeva la prova che la gentilezza può trasformarsi in qualcosa di molto più grande di quanto avesse mai immaginato.

Un pomeriggio nevoso, il signor Harrison porse ad Alex una busta.

«Cos’è?» chiese Alex, girandola tra le mani.

«Aprila», disse il signor Harrison con un luccichio negli occhi.

All’interno c’era un assegno sgualcito, ingiallito dal tempo. L’importo era modesto, scritto per coprire il costo del pasto che avevano condiviso tanti anni prima.

Alex alzò lo sguardo, confuso.

«L’ho conservato come promemoria», spiegò il signor Harrison. «Un promemoria della promessa che mi hai fatto. Alex, mi hai ripagato mille volte. Ora tocca a te continuare a ripassarlo.»

La voce di Alex si fece sottile e gli occhi brillarono di lacrime. «Signor Harrison… non so cosa dire.»

«Dimmi solo che manterrai la promessa», disse il signor Harrison con voce dolce.

Alex sorrise tra le lacrime. «Lo farò. Lo prometto.»

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