È venuto al mondo, come tutti, nell’ospedale delle puerpere di una giovane donna. Ma suo padre se ne andò non appena seppe della gravidanza. La madre ben presto iniziò a bere e a uscire, lasciando spesso il piccolo da solo al freddo e affamato. La donna, vittima dell’alcolismo, non riusciva a prendersi cura del bambino. Un giorno i vicini chiamarono la polizia e il bimbo di due anni venne portato in un orfanotrofio. I medici non riuscivano a formulare una diagnosi, e lui restava senza cure, seduto sulla sua carrozzina. Gli altri bambini lo evitavano con lo sguardo, e lui li osservava giocare, sognando di essere come loro. Ma un’infermiera se ne accorse. Cominciò a portarlo a fare passeggiate nel parco, dove per la prima volta si sentì davvero parte della vita. Il bambino provava a mettersi in piedi e, a ogni tentativo, si avvicinava sempre più al suo sogno. Presto l’infermiera coinvolse il primario: rimase colpito dalla forza d’animo del ragazzino, e questo segnò l’inizio di un nuovo capitolo per la sua vita. Continua nel primo commento qui sotto

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È venuto al mondo, come tanti, nell’ospedale, fra le braccia di una giovane donna che, nonostante le difficoltà, cercava di fare tutto come si deve. Ma il padre, appena seppe della gravidanza, se ne andò, abbandolandola da sola. È una storia simile a migliaia di altre. Eppure…

La madre iniziò a bere, e la sua vita divenne sempre più sregolata. Il bambino spesso restava a casa da solo, con le fasce ancora umide e la pancia vuota. L’alcolismo di una madre è una tragedia non solo per lei, ma soprattutto per i suoi figli. A un certo punto, dopo l’ennesima lite col suo nuovo compagno, i vicini chiamarono la polizia. Poco dopo, il bimbo venne trasferito in un orfanotrofio. Aveva due anni, non riusciva ancora a camminare e non parlava. Tutti i medici ripetevano: «Non può, quindi non potrà mai». Così finì in quella struttura, dove il suo unico mezzo di spostamento era una piccola carrozzina con cui percorreva i lunghi corridoi. Si sentiva un estraneo tra gli altri bambini, che lo evitavano. Per loro era solo un muto, un debole invalidato.

Spesso guardava fuori dalla finestra, osservando i coetanei che correvano e giocavano, mentre le lacrime gli rigavano le guance. Non capiva perché nessuno lo volesse, perché nessuno lo scegliesse. Quando arrivava un adulto per adottare un bimbo, lui piangeva in silenzio, perché anche solo sognare di essere scelto gli pareva proibito. Chi mai vorrebbe un bambino così?

Ma c’era un’infermiera che lo aveva notato. Nei suoi occhi vedeva tutto il dolore e la solitudine del piccolo, e ogni volta che passava accanto, sentiva il cuore farsi più stretto. Così iniziò a portarlo al parco, dove l’aria era fresca e gli uccellini cantavano. Lì lui si sentiva vivo, si sentiva meno solo. Quando i passerotti si posavano sulla sua carrozzina, un sorriso illuminava il suo viso. E lei… restava accanto a lui, con le lacrime agli occhi, consapevole di non poter cambiare tutto da un giorno all’altro, ma almeno di poter esserci.

Un giorno, tornando a trovarlo, lo trovò con un piccolo gattino rosso in grembo. Il bimbo lo accarezzava con gioia, e questo brillava nei suoi occhi. Quando il gattino saltò giù e cominciò a gironzolare attorno alla carrozzina, il bambino tentò per la prima volta di mettersi in piedi. Cadde, si rialzò, ricadde, poi… iniziò a gattonare, verso il suo nuovo amico.

Fu un momento magico. L’infermiera osservava come il gattino lo incoraggiasse, come lui, con tutte le sue forze, cercasse di muoversi. Non intervenne, perché capì che quello era il suo momento, il suo percorso. Si allontanò, per non interrompere quella scena.

Quando tornò qualche tempo dopo, lo trovò seduto in carrozzina, con il gattino fra le braccia. Nei suoi occhi c’era vera felicità. Il bambino che un tempo non poteva camminare ora era pieno di vita. Lei comprese che era merito delle sue cure: grazie al suo affetto, il bimbo aveva riscoperto il valore di sentirsi vivo e importante.

Lo presentò al primario, che, sentendolo pronunciare le prime parole, rimase stupefatto. Decise subito di finanziare insegnanti aggiuntivi per sviluppare le sue capacità, perché quel bambino si rivelò straordinariamente intelligente e desideroso di imparare.

Da quel giorno iniziò una nuova vita. Il bimbo divenne scienziato, professore, famoso nel suo campo. Costruì una famiglia e non dimenticò mai chi gli aveva dato una possibilità.

E il gattino? Anche lui trovò il suo posto. Rimase al suo fianco fino alla fine. Oggi, nella casa del professore, gironzolano cuccioli rossi – eredi di quel primo gattino.

L’uomo non rivelò mai alla moglie di essere stato un figlio adottivo. Non ci pensò nemmeno. Perché lui era amato, era con chi gli aveva dato una famiglia.

Così, da quel bambino un tempo relegato in carrozzina e in cerca di affetto, è nato un uomo che ci ha insegnato che il vera amore può donare una nuova vita anche a chi si trova nell’oscurità più profonda.

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