All’orfana fu lasciata in eredità soltanto una misera lettera… Ma quando la lesse, le risate del marito e della sua amante si trasformarono in PANICO!

Advertisements

L’orfana Maria sedeva nella stanza del notaio, fredda come una tomba, curva sotto il peso degli sguardi altrui, pieni di scherno. Ai due lati di lei — come lupi ai margini di un recinto — sedevano Grigorij, suo marito, e la sua amante, Lidia. Lui con un sorriso di compiacimento, come se avesse già vinto, lei con una risata velenosa, pronta a dilaniare la preda. L’aria nel locale era densa come sciroppo, intrisa di odio e invidia. Il notaio — asciutto come pergamena, un vecchio dal volto scolpito nel marmo — leggeva il testamento della zia Anna, l’unica donna che avesse mai guardato Maria con affetto e cura.

«…e tutti i beni, inclusa la casa, i terreni e i risparmi, passano a Grigorij Ivanovič», pronunciò, come se non si accorgesse di Lidia che tratteneva a stento una risata trionfale. I suoi occhi ardevano come brace, le labbra tinte di rosso si piegavano in un ghigno. Maria avvertì un dolore interno, come qualcosa che si rompeva.

Grigorij scoppiò a ridere, e il suo scherno rimbalzò sulle pareti, irridendo il suo destino. Lidia lo seguiva, la voce affilata come un coltello. Maria, invece, stringeva i pugni, incapace di alzare gli occhi. Tutto ciò che restava della sua vita era una lettera? Dopo anni di umiliazioni, privazioni e solitudine, le avevano lasciato non un pezzo di pane, non un tetto, ma un misero foglio? Non un dono, ma uno sputo del fato in faccia.

La busta che il notaio le porse pareva più pesante di una pietra. Maria la prese in silenzio e uscì dalla stanza, sotto la pioggia di scherni di Lidia:

— Una lettera! Almeno per accendere il fuoco servirà!

Tornò a casa come fosse diretta al patibolo. Nella sua stanzetta, dove le pareti odoravano di muffa e la finestra dava su un cortile vuoto, rimase a fissare la busta ingiallita. Le dita tremavano. Sapeva che zia Anna era stata l’unica a vederla non come un peso, ma come un’anima viva. Con uno sforzo che sembrava lacerare non solo il sigillo, ma la carne stessa, aprì la busta.

«Mia cara Masha, — cominciava la lettera. — Se stai leggendo queste righe, io non ci sono più e il mondo ti ha di nuovo trattata con crudeltà. Perdona la mia debolezza nel non averti protetta meglio. Ma sappi: tutto ciò che possedevo l’ho nascosto per te. Grigorij e la sua vipera otterranno solo ciò che appare alla vista. Nel vecchio quercio, presso il fiume, dove leggevamo insieme, c’è un nascondiglio. Trovalo. Lì troverai la tua libertà».

Il cuore di Maria cominciò a battere all’impazzata, come un uccello in gabbia. I ricordi affiorarono: la quercia immensa, guardiana del bosco, il tronco cavo dove riparavamo i libri dalla pioggia, la voce della zia che le leggeva la sera. Non riusciva a crederci. Non era la fine, ma un nuovo inizio.

La mattina seguente, prima dell’alba, Maria si incamminò verso il fiume. Il villaggio dormiva, nessuno notò la sua fuga. Grigorij e Lidia, ebbri del loro falso trionfo, non si accorsero della sua assenza. Maria, col cuore colmo di speranza, avanzava verso il suo futuro.

Nella cavità del quercio, sotto uno strato di muschio e tempo, trovò una scatola. Dentro c’erano: i documenti di una casetta in una provincia vicina intestata a suo nome, un libretto bancario a lei dedicato, una pila di lettere della zia, piene d’amore, consigli e fiducia, e un medaglione inciso con le parole: «Sei più forte di quanto pensi».

Quelle parole erano un salvagente gettato nella tempesta. Tornò a casa, raccolse le sue poche cose e partì la stessa sera. Grigorij e Lidia, ebbri della loro vittoria, non notarono nemmeno la sua scomparsa. Quando finalmente se ne accorsero, era troppo tardi. La casa che avevano ereditato si rivelò fatiscente, i terreni gravati da debiti e i risparmi un miraggio, spesi ancora in vita da Anna.

Maria iniziò una nuova vita. In una casetta sul mare, dove ogni giorno cominciava con il fragore delle onde e il richiamo dei gabbiani, ritrovò la libertà. Leggeva le lettere della zia, studiava, lavorava, respirava per la prima volta davvero. E ogni sera, guardando il tramonto, sussurrava: «Grazie, zia Anna». Lontano, Grigorij e Lidia litigavano fra loro, maledicendo l’eredità vuota.

La lettera non era solo un pezzo di carta, ma la chiave per la vita che Maria meritava. Assunse il nome di Anna in onore della zia e ricominciò da capo. Un lavoro nella biblioteca locale divenne la sua missione: ordinava i libri, aiutava i bambini a leggere e, la sera, studiava con i vecchi manuali trovati nella casetta. Il medaglione inciso era il suo talismano, ricordo del fatto che non era spezzata.

Ma il passato non la lasciò in pace così facilmente. Sei mesi dopo, Grigorij giunse in paese. Il suo abito elegante era logoro, gli occhi spenti, il sorriso altezzoso sostituito da una smorfia rabbiosa. Lidia lo aveva lasciato quando si accorse che l’«eredità» era solo debiti e un’abitazione in rovina. Venuto a sapere dai pettegolezzi locali che Maria viveva lì vicino, si presentò alla sua porta, furioso.

— Tu! — sbraitò, picchiando allo stipite. — Credi di poter rubare ciò che è mio di diritto? Dove sono i soldi di Anna? So che hai trovato qualcosa!

Maria, ferma sulla soglia, lo guardò con calma. Anni di umiliazioni le avevano insegnato a stare dritta.

— Hai ottenuto ciò che volevi, Grigorij — disse piano —. Zia sapeva chi eri. Vai via.

Lui fece un passo avanti, ma qualcosa nel suo sguardo lo bloccò. Forse fu l’intervento di Ivan, un robusto pescatore di passaggio, che notò la scena e si fermò. Grigorij impre­cò e se ne andò, promettendo vendetta.

Maria non ebbe paura. Sapeva che Grigorij era un uomo vuoto, divorato dalla sua avidità. Però, per precauzione, scrisse al notaio chiedendo di ricontrollare la validità del testamento. La risposta arrivò presto: tutto era stato redatto alla perfezione. Zia Anna aveva previsto ogni eventualità, persino i tentativi di Grigorij di contestare la sua volontà.

Il tempo passava. Maria si era ben ambientata in paese. Aveva fatto amicizia con Ivan, uomo buona e schietto. Lui le insegnava a pescare, lei gli regalava libri. Un giorno, rovistando in soffitta, trovò un’altra lettera della zia, cucita in un vecchio cuscino. In essa Anna scriveva: «Masha, se la vita dovesse farsi pesante, ricorda che non sei sola. Cerca chi vede la tua anima. Sono il tuo vero tesoro».

Quelle parole divennero il suo faro. Maria cominciò ad aiutare gli altri — orfani, anziani, chiunque avesse bisogno di calore. Organizzò in biblioteca lezioni gratuite per i bambini delle famiglie più povere. Il paese rifiorì e la gente imparò ad amare «quella silenziosa Anna che viveva al mare».

Grigorij non tornò mai più. Si diceva che si fosse lasciato andare all’alcol, cercando di vendere i terreni ipotecati. Lidia, secondo i pettegolezzi, era fuggita con un mercante, senza trovare però la felicità. Maria, seduta alla finestra con una tazza di tè, guardava il sole calare e sorrideva. La lettera della zia non era solo eredità, ma una mappa per una vita piena di senso. E ogni giorno dimostrava di essere più forte di quanto chiunque avesse mai immaginato.

Advertisements